Vita Rjustika

Il sapore sublime di pane, amore e cetrioli

SINOSSI

Inès è una donna alto borghese e piuttosto viziata. È annoiata della sua vita ed è infastidita all’idea di dover licenziare la sua colf, Ljubna. Nonostante uno stile di vita piuttosto agiato, il marito ha deciso che non è più il caso di avere una donna fissa. Qualcosa nelle certezze griffate di Inès inizia a scricchiolare: una mattina, Alberico torna per annunciare la sua dipartita e prendere le sue cose. Inès è attonita e, aggrappata al suo status, cerca di darsi un contegno e soprattutto delle ragioni, finché scopre che il marito invaghito di un’altra, non solo ha chiuso i rubinetti ma pretende anche che lei liberi la casa che è della famiglia di lui. Ljubna è preoccupata e si mostra gentile e comprensiva con la sua datrice di lavoro che reagisce infastidita fino a quando scatta qualcosa di diverso: Inès a poco a poco, infatti, si scopre attratta dal mondo semplice e sincero di Ljubna, tanto da desiderare entrare a farne parte. Inizierà ad abbandonare abitudini, ricordi e i troppi vestiti firmati preferendo comprarsi qualche cosa di semplice al mercato. Proprio nel quartiere di Ljubna che Inès comincia a frequentare andando a trovare la sua nuova amica, incontrerà un uomo in una modalità del tutto inattesa. Intanto, inizia una curiosa conversazione con l’ex marito fingendosi straniera. Ha inventato un suo personaggio, Rjustika, che la salverà da una mentalità e attitudini troppo formali, restituendole una nuova gioia di vivere.

 

CAPITOLO PRIMO

Oggi è la volta di Ljubna, penso riordinando le mie carte, cioè un mucchio mostruoso sul tavolino ovale dell’ingresso. E mi tocca dirglielo anche in fretta. Con maggio, fine. Mi farà mille storie con contributi, liquidazione? Certo che sì. Quelli sono attaccati all’osso. Magari gli hai regalato vestiti e roba usata, gli hai dato una mano con i documenti, la banca. Poi, quando è ora, ti piantano la grana.

D’altronde Alberico è un po’ che mi dice che bisognerebbe tagliare le spese superflue e che non è più tempo di avere la donna fissa. Oddio, se guardo la cesta dello stiro, pensare di sistemarmi tutta quella roba da sola e per di più con questa cervicale… Posso sempre prendere il cesto, rovesciarlo in cinque bei sacchi neri e portare tutto alla parrocchia. Così mi tolgo due bei pensieri.

Eh ma no, non sta bene. La roba smessa, adesso dicono che bisogna lavarla e stirarla. Allora mi scusino, care le mie suorine, ma una volta lavati e stirati i miei quattro capi li rimetto belli belli nell’armadio e me li faccio andare ancora per un giro. Mah, peggio per loro. Con tutta questa smania di pari opportunità! Guai se oggigiorno dici ‘poveracci’, adesso bisogna dire ‘diversamente ricchi’. Non sei più quella cosa, ma diversamente quell’altra. Ma è perché fa meno male? Io comunque ve lo dico: mi sento diversamente felice.

 

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