La metamorfosi del Torèt

Una storia ispirata alle tipiche fontanelle torinesi

Su quella panchina si sentiva un po’ in pendenza; Evarista tutte le mattine scendeva ai giardinetti giù di sotto alle undici in punto dopo aver sbrigato le faccende di casa e si sedeva lì per mezz’oretta a pensare alla vita e alle sue cose strane. In effetti, si vedeva bene che la panca era storta anche quando ci stava qualcun altro e non c’era nemmeno bisogno dell’aggeggio con la bolla verde in mezzo che ti dice se una cosa è in piano. Lo usava semmai suo marito, il Giuanot che faceva il carpentiere. Eppure, Evarista tutte le mattine che stava lì, le veniva da controllare la situazione. Si sporgeva un po’ di lato inclinando il suo peso robusto fino a mettere le geometrie di quelle assi ormai slavate dal maltempo in prospettiva con il torèt, una delle belle fontanelle di noialtri, qui a Türin. Poi quando dalle sue misurazioni – a occhio e croce, beninteso – veniva fuori un angolo retto, si sentiva rassicurata. In fondo, con quella panchina si sentiva un po’ come a pensare alla torre di Pisa, che finché non crolla…

Evarista aveva i suoi begli anni e uno scialle fatto all’uncinetto; il primo lavoro ben fatto che era riuscita a portare a termine, finita la scuola elementare. Peccato il color grigio malva, ma che importa…All’epoca andava tanto di moda. Lo scialle andava bene quando la primavera era già bella ma poi t’ingannava con il fresco che arrivava all’improvviso – quella filura che ti spediva a letto con un gran malanno.

Eh ben, l’Evarista quel giorno era scesa un po’ più tardi, che si era attardata a guardare l’eclissi alla tele e la panchina l’aveva trovata diversa. Adesso le sembrava dritta e ci si stava sedute anche comode. In compenso, a ben guardare, forse però si era inclinata la fontana…

No, un cambio di prospettive così non poteva essere immaginabile, almeno non per lei che lì, in quella piazzetta, ci si sedeva da quasi settant’anni. Sessantasette e sei mesi, per la precisione. Anche i platani quel giorno avevano qualcosa di diverso, ma cosa? È ben vero che c’era appena stata l’eclissi di sole, però queste cose strane non le andavano proprio giù. Aveva chiamato Giuanot che aveva il magazzino nella stessa via, qualche portone più avanti. Che venisse lui a fare una verifica con l’attrezzo della bolla. Convincerlo a venire su non è stato semplice, ma alla fine, a far la voce grossa si ottiene sempre tutto.

È arrivato, ha appoggiato lo strumento per misurare e… cosa era venuto fuori? Che era storto il marciapiede e che comunque i marciapiedi non si raddrizzano e che le cose, se non sono proprio dritte, ‘à va bin li stess’. Ragionandoci su, Evarista aveva realizzato che quella mattina era arrivata in piazzetta che erano già quasi le undici e mezza. Dunque in uno scarto di mezz’ora al massimo, la piazza aveva cambiato le sue geometrie? Fosse capitata a Serafino una cosa così, allora sì che le cose sarebbero state chiare. La mattina con il pane e salame il socio di Giuanot aveva il vizio di bere sempre qualche bicchiere barbera di troppo e si sa, come vanno le cose in quei casi lì. Basta, ma allora cosa diavolo era successo? Erano le ‘svampe della menupausa’ come le chiamava lei? Ma no, che erano passati già tanti anni…

Mentre Evarista rifletteva su questo genere di cose, anche un po’ bislacche, lo sguardo le era caduto su un piccolo cavallino alato di plastica rosa – di quelli con la criniera lunga, gli zoccoli e gli occhioni grandi – coricato lì vicino alla piccola grata dove confluisce l’acqua dello zampillo. Lo alzò con delicatezza cercando subito se lì intorno ci fosse mai qualche bambina disperata e senza cavallino; ma no, aj era propri njun. In fondo, quella era l’ora di essere ben bene a scuola. Prese allora il cavallino, lo asciugò e lo piazzò in vista sulla panchina quando in un attimo le sembrò di essere tornata in quella prospettiva un po’ storta che conosceva benissimo. Rimase qualche istante a bocca secca poi, presa la bestiola rosa, la rimise per terra, sdraiata vicino al torèt. Incredibile ma vero, la panca era tornata di nuovo diritta e la fontana sbilenca. E tra loro, sempre un angolo di 90°. Perdinci, pensò, mentre controllava l’ora sul suo piccolo orologio da polso; era già quasi la mezza e bisognava mettere su il pranzo. Guardò ancora che non arrivassero bambine proprietarie di cavallini luccicanti e se lo cacciò furtivamente nella tasca del grembiule. Si sentiva un po’ ladruncola ma in fondo, forse era proprio lei che quel cavallino stava cercando!

“Dì un po’, disse a Giunanot, ma secondo te, mi l’ai le traveggole?” Lui sembrava non aspettasse altro per dirle sì, secondo me si. Da un po’ di tempo fai cose strane… Ma dici? E che cosa? Mah a volte scambi il giorno per la notte e fai anche la sonnambula. Parla pà, fece lei, e me lo dici così? Ma secondo te quella cosa lì della panchina? Sono matta io, o è la panchina? E invece quella cosa di oggi della fontana? Eh, risponde il marito, t’ses un po’ drôla, ma sono gli anni. Và, controlla la pasta và, che se no fai scuocere anche quella…

Evarista era un po’ offesa. Come sarebbe a dire, drôla? Prese il cavallino e lo appoggiò vicino al putagé immaginandosi di far tornare gli spaghetti al dente, ma niente, erano proprio sciapi e mancava anche sale. Si coricò dopo quel pranzo, che la vita aveva preso un’altra piega.

La mattina dopo scese puntuale in piazzetta dopo aver finito tutti i lavori. Undici meno dieci ed era lì con il cavallino ben stretto in mano. Piovigginava, ma non se ne accorse nemmeno. Il torèt buttava più acqua del solito e a un certo punto si era messo come a sputare nervosamente con getti proprio isterici. Altro che una fontana… Evarista si mise in assetto con pazienza e fiducia e iniziò tutta la manovra daccapo. Cavallino per terra, lei seduta sulla panca. Analisi della prospettiva geometrica. Ok i 90°. Mentre guardava di sbieco, notò che quei sobbalzi dell’acqua era il torèt a farli. Arrotondata sulla sommità e col muso di un toro, dondolava la sagoma verde della fontanella, come quando stai per vomitare. Povera Evarista, lei che aveva pensato ai poteri magici di quel cavallino e invece era il torèt a muoversi! Le venne in mente la fiaba cattiva di un giovane torello diventato di pietra verde per un incantesimo. Già, e adesso avrebbe voluto uscire fuori da lì, magari proprio per via dell’eclisse. Parla pà! Intanto però pensò con un po’ di sollievo che da quel momento sì, aveva finalmente una risposta a tutti i suoi dubbi, anche quelli sui piani inclinati. Si poté rilassare e controllare anche i platani di nuovo belli fieri e le tortore che venivano lì vicino a cercare qualche briciola.

Intanto il torèt si muoveva sempre più deciso e aveva smesso di eruttare acqua. Sembrava furioso. Evarista ebbe un attimo di mancamento. E se adesso mi diventa una bestia di quelle vere? Dov’era il cavallino rosa che magari in questo frangente l’avrebbe protetta? Si accorse che poco più in là nella via iniziava ad aumentare un bieco rumore di ferro e si udivano orribili parolacce; davvero brutte che, a dirle, non ci credi nemmeno. Poi un clangore, un boato e un tonfo metallico sordo. Guardò spaventata la fontana, ma il rumore non veniva da lì. Perché non rifugiarsi a casa? Doveva proprio essere testimone dell’incantesimo del torèt ma soprattutto di tutti quei brutti bojafauss?

Alle sue spalle, sentì una voce, si voltò atterrita e vide un omone sgusciare dal tombino. Era pieno di fango e porcherie sottostradali. Ommisignur esclamò lei, ma da dove spunta cust sì?

“C’è un guasto grave nella rete idrica, dice, dobbiamo togliere l’acqua. E forse, togliere anche il toretto… Domani mattina arriva la macchina movimento terra, così le mettiamo in piano l’aiuola e la panchina, è contenta?”

Evarista non rispose. Gli disse solo: ha una bambina? No, ho un maschio. Ben, gli lo dia lo stesso, e gli porse il cavallino. Ma lo dica subito al cit, che questa bestiola non ha grandi poteri magici…

 

(anno di stesura 2015. Pubblicato sull’antologia ‘Italia terra d’amori, arte e sapori’ edita da EWWA)

Opera tutelata su www.patamu.com con numero deposito 47540

Go top